Per chi non ha pagato la cartella esattoriale di Agenzia Entrate Riscossione esiste un minimo impignorabile solo sulle pensioni, mentre per lo stipendio resta la limitazione a percentuale.

«Guadagno poco: cosa mi può fare il fisco?». A domandarselo è più di un contribuente da quando la riscossione delle tasse è finita in capo ad Aer, Agenzia delle Entrate Riscossione. Il nuovo esattore ha tutti i poteri di una pubblica amministrazione, peraltro strettamente collegata all’Agenzia delle Entrate. È quindi in grado di conoscere i beni intestati ai contribuenti tramite l’accesso ai due maxi database del fisco: l’anagrafe tributaria e quella dei rapporti di conto corrente. Ma esiste un reddito minimo per non pagare i debiti con l’Agenzia Entrate Riscossione? Fino a dove si può spingere il pignoramento nei confronti dei “poveri”?

In un precedente articolo abbiamo parlato dei numerosi limiti che Agenzia Entrate Riscossione incontra nel momento in cui intende pignorare la casa del contribuente (leggi Debiti con Agenzia Entrate Riscossione e pignoramento casa) e in un altro abbiamo elencato le cose che il fisco non ti pignorerà mai; ma queste indicazioni valgono per tutti i contribuenti, benestanti o nullatenenti. In questa sede, invece, vogliamo occuparci di tutti coloro che hanno un guadagno molto basso derivante dalla pensione o dallo stipendio di lavoro. Immaginiamo un dipendente con una busta paga di 500 euro e un dirigente invece con uno stipendio di 50mila euro annui: in caso di pignoramento il trattamento è lo stesso? E che succede se, invece, il pignoramento viene avviato nei confronti di un pensionato, magari titolare di un assegno di invalidità, la cui mensilità non arriva neanche a 800 euro? Insomma, qual è il reddito minimo per non pagare i debiti con l’Agenzia Entrate Riscossione?

Per quanto potrà sembrare poco giusto, la vera differenza non è tra chi guadagna tanto e chi guadagna poco ma tra chi percepisce una busta paga e chi invece una pensione. Solo per i pensionati la legge stabilisce un «minimo vitale» ossia una parte del reddito che il fisco non può mai toccare e che serve a garantire il sostentamento: sotto questa soglia la pensione non può mai scendere ed è quindi impossibile il pignoramento; sulla restante parte, invece, l’esecuzione forzata può avvenire nei limiti di un quinto.

Al contrario, per i lavoratori con uno stipendio basso o infimo valgono le stesse regole previste per quelli benestanti: il pignoramento è possibile entro delle percentuali – che a breve vedremo – calcolate però sull’intera mensilità.

Possibile? Sì, ed a confermarlo è una recente sentenza della Corte Costituzionale [1]. In pratica, il cosiddetto “minimo vitale impignorabile” riguarda solo i pensionati e non la retribuzione da lavoro dipendente o altre forme di retribuzione. Ma procediamo con ordine e cerchiamo di capire qual è la soglia di reddito sotto la quale non è possibile il pignoramento.

Lavoratori dipendenti

Non esistono limiti di reddito sotto i quali è vietato il pignoramento della busta paga: per tutti i contribuenti che svolgono lavoro dipendente, ricchi o poveri che siano, lo stipendio è pignorabile entro i limiti di una percentuale che è così riassumibile:

  • stipendi che non superano 2.500 euro: pignoramento di massimo un decimo (ossia il 10%);
  • stipendi che superano 2.500 euro ma non superano 5.000 euro: pignoramento di massimo un settimo (ossia all’incirca il 14%);
  • stipendi superiori a 5.000 euro: pignoramento di massimo un quinto (ossia il 20%). Eccezionalmente il pignoramento può arrivare fino alla metà della busta paga se concorrono più creditori di natura diversa.

A detta dei giudici, l’applicazione di una percentuale per “classi” di contribuenti garantisce il rispetto del principio di uguaglianza. Per cui, ad esempio, su un reddito di 500 euro mensili il pignoramento (pari al quinto, ossia al 10%) può arrivare fino a massimo 50 euro; invece su un reddito di 5.001 euro mensili il pignoramento è di mille euro. Stessa sorte per il Tfr.

Entro questi limiti il reddito di lavoro dipendente può essere pignorato anche quando ammonti a poche decine di euro.

Se lo stipendio viene accreditato sul conto corrente, il pignoramento deve fare salvo il deposito che va da 0 a 1345,56 euro. Tutte le somme superiori a tale importo possono essere pignorate integralmente. Invece per i successivi accrediti (mensilità dello stipendio erogate dopo il pignoramento) valgono i predetti limiti del 10%, 14%, 20%. Quindi, se il lavoratore dipendente lascia sul conto un deposito non superiore a 1.345,56 euro evita almeno il blocco delle somme depositate in passato, non potendosi però opporre al blocco di quelle che gli verranno accreditate successivamente. Salvo ovviamente che apra un conto presso un’altra banca.

Se il debitore ha già altre “trattenute” a titolo di cessione volontaria del quinto – per esempio a seguito di contratto con una finanziaria per un prestito – di esse non si tiene conto e, quindi, il quinto si applica sulla busta paga per come risultava prima della trattenuta. Questo perché la cessione del quinto è un atto volontario del debitore.

Se il debitore ha già un pignoramento dello stipendio in corso, il successivo pignoramento viene autorizzato, dal giudice, in “accodo”, ossia solo dopo che il primo sia stato integralmente soddisfatto.

Se poi ci spostiamo ad altri tipi di lavoratori, come ad esempio il professionista o l’imprenditore, i redditi sono pignorabili integralmente. In questo caso, però, non ci sarà un pignoramento dello stipendio ma del conto in banca o dei dividendi che la società deve erogare, dei compensi che i clienti devono versare in conseguenza della parcella, ecc.

Per quanto riguarda gli agenti di commercio, la giurisprudenza ha ritenuto tale categoria assimilabile al lavoratore dipendente: pertanto le provvigioni possono essere pignorate fino a massimo un quinto.

Pensionati

Per le pensioni vigono le stesse percentuali previste per i lavoratori dipendenti con una importante differenza. La percentuale relativa alla quota pignorabile si calcola sull’importo della pensione ottenuta dall’ente di previdenza a cui è stato previamente sottratto il cosiddetto «minimo vitale». Il minimo vitale è pari a una volta e mezzo l’assegno sociale ossia, ad oggi, 672,76 euro. Quindi, su una pensione di 1000 euro, bisogna prima sottrarre il minimo vitale (1000-672,76): il risultato è pignorabile entro massimo un decimo.

Ne consegue che, ad oggi, il reddito minimo per non pagare i debiti con l’Agenzia delle Entrate Riscossione è di 672,76 euro ma deve trattarsi solo di un reddito pensionistico.

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