Riforma del fallimento: l’obiettivo è quello di salvare le imprese. Ecco le principali novità

Il Senato ha approvato definitivamente, con 172 voti a favore ed appena 34 contrari, la riforma del fallimento, diventata dunque legge. L’obiettivo della riforma è quello di salvare le imprese. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha definito la riforma sul fallimento come «una riforma di portata epocale». Ciò che cambia con questa riforma, infatti, non è soltanto la legge, ma il meccanismo ad essa sotteso. Meccanismo che in questi anni di crisi ha contribuito a  distruggere molte risorse sia imprenditoriali che materiali. È necessario, invece, che cambi il nostro punto di vista: non è sempre vero che l’imprenditore che “fallisce” è per forza di cose un cattivo imprenditore. D’altronde la strada per il successo è spesso lastricata di tentativi, fallimenti e cadute, dalle quali bisogna necessariamente rialzarsi. Le cose, dunque, cambieranno. Scopo della riforma è quello di preservare, per quanto più possibile, il patrimonio imprenditoriale e finanziario di un’impresa, in modo da rafforzare la capacità imprenditoriale complessiva del nostro Paese. Vediamo come. Analizziamo, dunque,  le principali novità introdotte dalla riforma sul fallimento.

Addio fallimento: ora si parla di liquidazione giudiziale

Nella vita di tutti i giorni, dare a qualcuno del “fallito” significa offenderlo nel profondo. Il fallimento evoca, nella nostra mente, il concetto di una distruzione totale (e talvolta anche colpevole) di quanto precedentemente costruito (magari con immensi sforzi). Ebbene, la riforma si pone l’obbiettivo di cambiare questo punto di vista e di promuovere una nuova cultura per affrontare l’attuale periodo di crisi. È necessario, infatti, un presa di coscienza da parte di tutti: la crisi di un’impresa non è un’eventualità rara, anzi è a volte quasi fisiologica ed è spesso determinata da fattori che l’imprenditore non può controllare. Al bando, quindi, la categoria concettuale della colpa, troppo spesso abusata.  Via, invece, al cambiamento. E si parte proprio da una rivoluzione terminologica: non si parla più né di “falliti”, né di “fallimento”. L’espressione fallimento, infatti, viene sostituita con quella di ” liquidazione giudiziale”. 

La procedura di liquidazione giudiziaria dei beni

Nel dettaglio, si tratta di una procedura nella quale si innesta una soluzione concordataria con la completa liberazione dei debiti entro 3 anni al massimo dall’apertura della procedura stessa. Il fine, ha commentato Orlando, è quello di evitare le conseguenze connesse alla dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, «che vanno dalla stigmatizzazione all’incapacità di far fronte ai propri debiti, e che incidono negativamente sulle possibilità di avviare una nuova attività, nascondendo il fatto che la crisi o l’insolvenza sono evenienze fisiologiche nel ciclo di un’impresa, da prevenire ed eventualmente regolare al meglio, ma non da esorcizzare».

La procedura di liquidazione giudiziale dovrà contare su un iter accelerato (i tempi saranno dunque più ristretti) e soprattutto sulla competenza di giudizi più specializzati. In altri termini  le procedure concorsuali saranno trattate da giudici ad hoc ed altamente qualificati in materia, istituiti presso le sezioni specializzate nei tribunali capoluoghi di distretto, cioè i tribunali delle imprese.

Imprese in crisi: “prevenire è meglio che curare”

Le luci dei riflettori si spostano dalla figura dell’imprenditore/debitore per illuminare il più importante tema dell’attuale crisi ed insolvenza delle imprese. Ebbene l’obiettivo è quello di  prevedere e prevenire il più possibile lo status di crisi. Come? Attraverso un meccanismo di allert, vale a dire una fase preventiva e stragiudiziale per anticipare l’emersione della crisi. Il governo, infatti, disciplinerà una fase preventiva di allerta, volta ad anticipare e, quindi, a prevenire l’emergere di una crisi di impresa. Si tratterà di una procedura stragiudiziale e confidenziale di sostegno alle imprese affrontata garantendo per quanto più possibile la continuità aziendale. La procedura di composizione della crisi sarà affidata ad un apposito organismo pubblico e terzo istituito presso ciascuna camera di commercio. Il fine è quello, attraverso l’analisi delle cause del malessere economico e finanziario, di pervenire ad una vera e propria composizione assistita della crisi, con l’accordo di tutti o di parte dei creditori. A questo organismo si potrà rivolgere direttamente l’imprenditore che versa in stato di crisi. Tuttavia, è previsto anche che, in assenza di una iniziativa del debitore, l’organismo proceda alla convocazione immediata dell’imprenditore, a seguito della segnalazione dell’esistenza di fondati indizi di crisi da parte dei sindaci o del revisore contabile o del perdurare di inadempimenti di importo rilevante da parte dei creditori pubblici qualificati, tra i quali l’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali.

Il registro nazionale dei curatori

Altra novità importante, introdotta nel nome  di una maggiore trasparenza, è la sottrazione del registro dei curatori ai singoli tribunali a favore di un sistema centralizzato presso il Ministero della Giustizia, con indicazione dei requisiti di professionalità, indipendenza ed esperienza necessari per l’iscrizione. I poteri del curatore nominato, inoltre, saranno aumentati.

Concordato preventivo e insolvenza del gruppo di imprese

Con la riforma viene ridisegnata la disciplina del concordato preventivo, ammettendo, accanto a quello in continuità, anche il concordato che mira alla liquidazione dell’azienda se in grado di assicurare il pagamento di almeno il 20% dei crediti chirografari. Per quanto concerne l’insolvenza del cosiddetto gruppo di imprese, vi saranno  obblighi di collaborazione e reciproca informazione a carico degli organi procedenti, al fine di garantire, quanto più possibile, l’unitarietà della trattazione della crisi.

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