Ricorsi alla commissione per il rimborso dell’illegittimo prelievo operato dai Comuni sulle pertinenze.

C’era da aspettarselo: ora i contribuenti sono sul piede di guerra. Dopo che il Ministero dell’Economia ha riconosciuto illegittimità dell’operato di molti Comuni italiani nel calcolare la Tari sulle pertinenze di casa (ad esempio box auto e cantine), le associazioni di tutela dei consumatori si stanno muovendo per far ottenere ai cittadini la restituzione delle maggiorazioni illegittime. Come avevamo già detto in Tari pertinenze casa: pagamento illegittimo, le amministrazioni locali hanno duplicato una delle voci che compongono l’imposta sui rifiuti; in particolare è stata calcolata per ben due volte la cosiddetta «quota variabile» (quella cioè parametrata al numero degli occupanti dell’immobile): una prima volta – così come è giusto che sia – sull’abitazione vera e propria; una seconda sulle pertinenze sulle quali invece non è dovuta. Box, cantine e soffitte scontano infatti solo la quota fissa della Tari, quella cioè rapportata alla dimensione dell’immobile.

Cerchiamo di capire meglio come è avvenuto il raddoppio della quota variabile della Tari. La bolletta sulla spazzatura è composta da due voci:

  • la «quota fissa», per esempio 2 euro al metro quadrato
  • la «quota variabile», parametrata al numero di persone che abitano l’immobile (per esempio 100 euro per i single, 110 per le coppie e così via). Ciò serve a collegare l’importo totale alla quantità di rifiuti smaltiti, che cresce quando aumentano le persone.
  • Tutto il meccanismo va applicato una sola volta per ciascun immobile, sommando le superfici di abitazioni e pertinenze per la quota fissa e aggiungendo poi quella variabile. Invece la quota variabile viene ripetuta per garage, box e cantine; ciò ovviamente ha l’effetto di gonfiare il conto finale.

Il risultato è stato che numerose famiglie hanno versato importi maggiorati e ora hanno diritto ai rimborsi dei pagamenti effettuati negli ultimi cinque anni; a tanto ammonta infatti la prescrizione dell’imposta sui rifiuti. Per verificare se si fa parte dei “truffati”, basta leggere il dettaglio della richiesta di pagamento della Tari e verificare se la quota variabile è stata calcolata sia sull’appartamento che sulle pertinenze. In tal caso, bisognerà muoversi al più presto. Il primo passo è certamente l’invio di una raccomandata a.r. contenente una richiesta di rimborso in via bonaria; l’istanza va presentata al Comune o, qualora il servizio sia gestito da una società in house, a quest’ultima.

In caso di silenzio o di rifiuto, bisognerà depositare il ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale patrocinati da un avvocato o un commercialista. Se l’importo da restituire non supera 3mila euro ci si può difendere anche da soli.

In particolare, se il Comune invia un diniego al rimborso della maggiore Tari versata, il contribuente deve contestarlo entro 60 giorni dalla sua notificazione. Nel caso in cui, invece, il Comune non si pronunci sull’istanza proposta dall’interessato, anche il silenzio può essere impugnato davanti al giudice, ma solo dopo che sia decorso il termine di 90 giorni dalla presentazione della domanda di restituzione. In quest’ultima ipotesi, il diritto di credito può essere fatto valere fino a che non si sia prescritto.

I Comuni che hanno imposto sino ad oggi il raddoppio della quota variabile potrebbe correggersi in autotutela, ma dovranno provvedere ai rimborsi entro breve per evitare una valanga di ricorsi al giudice.

La Tari gonfiata è il perfetto esempio di come, in materia di rifiuti, regni la totale anarchia tra i Comuni italiani che spesso, con i loro regolamenti, violano la “legge cornice” dello Stato (leggi Tassa rifiuti: così i Comuni aumentano illegittimamente gli importi). Prova ne è il fatto che, in alcuni casi, viene imposta ai box auto la tariffa speciale per le attività commerciali o «autorimesse e magazzini senza alcuna vendita diretta», mentre invece è possibile applicare solo la tariffa domestica. Un altro esempio di operato illegittimo è quando viene chiesta la Tari anche sui box auto scoperti che, come tali, sono improduttivi di rifiuti.

Non sono soggetti a tassazione sui rifiuti i locali e le aree che non possono produrre rifiuti per: 1) la loro natura; 2) o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati; 3) o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno. Secondo la Cassazione, infatti, un locale adibito a garage non può ritenersi, di per sè, improduttivo di rifiuti solidi urbani. La legge prevede come eccezione alla regola della tassazione le sole «aree scoperte pertinenziali od accessorie di civili abitazioni». Leggi sul punto Garage: come non pagare la tassa rifiuti.

 

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