L’atto di pignoramento presso terzi deve indicare il credito per cui si agisce e l’elenco delle cartelle.

Una nuova speranza per i debitori, specie per chi ha in arretrato qualche cartella esattoriale: una sentenza della Cassazione [1] di qualche giorno fa, nel decidere sul ricorso sollevato da un contribuente, vittima del pignoramento dello stipendio da parte dell’Agente della Riscossione, ha dato un ottimo suggerimento su come evitare il pignoramento dello stipendio. Vediamo allora di capire come sfruttare questo valido consiglio. Prima però sono necessari alcuni chiarimenti per i neofiti della materia che non hanno mai avuto la triste esperienza di vedersi la busta paga ridotta di un quinto e che non sono pertanto al corrente di quali sono le procedure.

Come inizia il pignoramento dello stipendio

Per poter pignorare i beni del debitore bisogna essere in possesso di un «titolo esecutivo», ossia di un documento che attesti, in modo ufficiale, l’esistenza e l’entità del credito. Il titolo esecutivo per antonomasia è la sentenza di un giudice che, all’esito della causa, verifica il diritto di credito e lo quantifica. Ma, oltre ai provvedimenti giudiziali, i titoli esecutivi sono anche le famigerate cartelle esattoriali, le cambiali e gli assegni non pagati. Infine ci sono i contratti di mutuo firmati davanti al notaio: se non paghi la rata del finanziamento, la banca può pignorare i tuoi beni senza bisogno del giudice.

In tutti questi casi, dopo aver ottenuto il titolo esecutivo, il creditore può agire con l’esecuzione forzata e, se lo ritiene possibile, eseguire il pignoramento dello stipendio del debitore.

Vediamo ora come inizia il pignoramento dello stipendio. Questa fase parte con la notifica di un ultimo avviso di pagamento (il cosiddetto «atto di precetto») che dà al debitore altri 10 giorni di tempo per adempiere. Dopo di ché gli viene notificato l’atto di pignoramento vero e proprio che, nel caso in cui si aggredisca lo stipendio, segna il momento a partire dal quale sulla busta paga viene effettuata la trattenuta del 20%.

Se a fare il pignoramento è l’Agente della riscossione, le percentuali sono diverse:

  • sulle buste paga non superiori a 2.500 euro, la trattenuta è del 10% ossia un decimo;
  • se la busta paga si colloca tra 2.501 e 5.000 euro, la trattenuta sale al 14,28% ossia un settimo;
  • infine se la busta paga è superiore a 5.000 euro, la trattenuta è del 20% ossia un quinto.

Qui subentra una importante distinzione tra il pignoramento fatto da un privato e quello azionato da Agenzia Entrate Riscossione:

  • se ad agire è una banca o qualsiasi altro soggetto privato, il datore di lavoro, ricevuto l’atto di pignoramento dello stipendio, effettua la trattenuta ma non la versa al creditore. Deve prima attendere l’udienza (la cui data è indicata nell’atto di pignoramento stesso) in cui il magistrato, all’esito di una verifica formale e sostanziale, lo autorizza a eseguire lo storno delle somme pignorate al creditore;
  • se ad agire è Agenzia Entrate Riscossione non c’è alcuna udienza. Il datore di lavoro e il debitore ricevono l’atto di pignoramento e, da questo momento, le somme trattenute vengono versate all’esattore

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Come difendersi dall’esecuzione forzata

In generale, per difendersi dall’esecuzione forzata bisogna fare molta attenzione ai termini:

  • se il titolo esecutivo è una sentenza o un altro provvedimento del giudice, l’unico modo per sollevare contestazioni è l’appello che, come noto, va proposto entro 30 giorni. Non ci si può svegliare solo quando arriva l’atto di pignoramento perché sarebbe ormai troppo tardi (a meno che il creditore non abbia commesso un errore successivamente alla formazione del titolo stesso, per come a breve vedremo);
  • viceversa, se si tratta di un altro titolo esecutivo diverso dalla sentenza (un assegno, una cambiale, un rogito di un mutuo), è sempre possibile sollevare una opposizione nel merito del credito sostenendo, ad esempio, che l’assegno è stato emesso sulla base di un altro debito, che il contratto di mutuo prevede interessi usurari o anatocistici, ecc.

I classici motivi per contestare il pignoramento dello stipendio sono:

  • la mancata notifica del titolo esecutivo o del precetto;
  • la non corretta quantificazione delle somme dovute;
  • la non corretta quantificazione delle somme da pignorare, come nel caso di uno stipendio pignorato oltre i limiti di legge;
  • l’avvenuto pagamento nelle more della notifica del pignoramento;
  • l’esistenza di diritti di terzi sui beni pignorati come nel caso di un conto cointestato.

Contrariamente a quanto si ritiene la presenza di una cessione del quinto dello stipendio a una finanziaria non è un motivo per opporsi al pignoramento dello stipendio trattandosi di un atto volontario del debitore.

Come difendersi dal pignoramento dello stipendio

Finora abbiamo dato delle informazioni generali che valgono nella generalità dei casi e che tuttavia, per essere applicate, devono tenere conto del caso specifico. Impossibile, in questo momento, dare suggerimenti pratici se non si conosce la vicenda concreta. La Cassazione ha tuttavia aggiunto un importante tassello a questo mosaico. Con una interessante motivazione la Corte ha spiegato che l’atto di pignoramento deve indicare chiaramente a che titolo sono dovute le somme pignorate. Se non c’è una motivazione specifica è possibile evitare il pignoramento dello stipendio proponendo opposizione. La questione è meno scontata di quanto a prima vista appare se si considera il caso dellecartelle esattoriali: qui l’atto di pignoramento è nullo se privo dell’indicazione dei crediti per i quali l’esattore procede e dell’elenco delle cartelle cui fa riferimento. Questo vuol dire che il contribuente può impugnare il pignoramento e salvare la retribuzione dalla trattenuta.

La sentenza, dicevamo in apertura, è particolarmente interessante. Difatti, quando l’Agente della Riscossione agisce con il pignoramento dello stipendio è solito inviare al datore di lavoro un generico atto in cui indica l’importo del debito accumulato dal suo dipendente e gli intima di eseguire la trattenuta sulla busta paga. Lo stesso atto viene notificato al contribuente. L’azienda e il debitore però non vengono messi in condizione di conoscere a che titolo sono dovute le somme pignorate: manca cioè l’indicazione dei crediti e delle cartelle azionate. Il che non consente all’interessato di effettuare una verifica sulla correttezza del pignoramento e quindi di difendersi.

La questione giuridica

Il succo della sentenza è che l’atto di pignoramento dell’Agente della riscossione non fa fede di quanto in esso indicato perché è un atto redatto dallo stesso creditore. Il pignoramento presso terzi eseguito dall’agente di riscossione – dice la Cassazione – sebbene preordinato alla riscossione coattiva di crediti erariali, non acquisisce per ciò stesso la natura di atto pubblico ma resta pur sempre un atto processuale di parte. Pertanto l’attestazione ivi contenuta delle attività svolte dal funzionario che ha materialmente predisposto l’atto (nella specie, concernente l’allegazione di un elenco contenente l’indicazione delle cartelle di pagamento relative ai crediti posti in riscossione) non fa piena prova. L’agente della riscossione è pubblico ufficiale solo nell’attività di notifica del pignoramento, ma non quando lo redige.

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