Il Rimborso Tari può essere già chiesto: non c’è nulla da attendere, non c’è bisogno di un modulo prestampato, né dell’aiuto di un legale. Ecco come fare
Il “caos Tari“, vale a dire il pasticcio delle bollette gonfiate per un errore di calcolo nell’applicazione della tassa rifiuti è ormai noto a tutti. In estrema sintesi: la Tari si compone di una quota fissa ed una quota variabile, ebbene in presenza di abitazioni con pertinenze (garage, cantina, posti auto, ecc.), la quota variabile della tariffa doveva essere calcolata solo una volta e non due (per approfondimenti leggi: Tari gonfiata: scatta la corsa al rimborso ). Dunque, l’errore che ha causato l’illegittimo “gonfiamento” della Tari a discapito dei contribuenti è evidente ed altrettanto palese è il danno subito dai cittadini, costretti a pagare anche il doppio rispetto a quanto dovuto. Dopo il danno, per fortuna, arriva anche il rimborso. A ben vedere, infatti, la corsa per ottenere la restituzione delle tasse pagate in eccesso è già cominciata. Ciò in quanto non è necessario attendere oltre: il rimborso Tari può essere già chiesto. Vediamo come, in quali casi il rimborso può essere effettivamente richiesto, cosa controllare prima di chiedere il rimborso, quali sono i tempi dello stesso.
Indice
- 1 Rimborso Tari: può essere già chiesto
- 2 Tari gonfiata: la richiesta di rimborso
- 3 Cosa controllare prima di richiedere il rimborso
- 4 Tari gonfiata: si può perdere il diritto al rimborso
- 5 Tari gonfiata: cosa succede dopo aver presentato la domanda
Rimborso Tari: può essere già chiesto
Al fine di ottenere il rimborso della Tari pagata in eccesso sulle pertinenze non è necessario attendere oltre, né aspettare ulteriori provvedimenti. L’errore della doppia imposizione sulla cosiddetta quota variabile Tari è ormai stato dichiarato (per saperne di più leggi: Tari più cara per errore: come ottenere il rimborso).
Non resta, dunque, che chiedere la restituzione di quanto pagato in eccesso. A tal fine non c’è bisogno di compilare alcun modulo prestabilito, non è necessario nemmeno l’aiuto di un professionista (come, ad esempio, un legale o un commercialista): ogni cittadino potrà provvedere autonomamente. Come? Redigendo un’istanza in forma libera.
Tari gonfiata: la richiesta di rimborso
Per chiedere la restituzione di quanto pagato in eccesso è sufficiente che il contribuente ne faccia apposita richiesta. È necessario, però, che l’istanza contenga tutti i dati necessari, vale a dire:
- la specificazione degli importi pagati;
- la specificazione degli importi per i quali si chiede il rimborso;
- le relative motivazioni;
- gli anni in relazione ai quali si chiede la restituzione di quanto pagato in eccesso.
A tale ultimo proposito, è bene fare due precisazioni:
- non è necessario presentare più richieste separate in relazione a ciascun anno di imposizione: si può redigere un’istanza unica per tutte le annualità interessate;
- attenzione: il termine di decadenza per la domanda è di 5 anni dal pagamento. Il rimborso, quindi, avrà ad oggetto le somme pagate in più negli ultimi 5 anni.
Cosa controllare prima di richiedere il rimborso
Prima di chiedere il rimborso è bene porre in essere alcune verifiche preliminari.
Innanzitutto, bisogna verificare che si tratti effettivamente di annualità in cui la tassa è stata suddivisa in quota fissa e quota variabile. Se infatti è stata applicata la vecchia Tarsu, non si potrà richiedere alcun rimborso. Ciò in quanto la Tarsu aveva una struttura unitaria che non contemplava le due quote (fissa e variabile). In linea di principio, comunque, a partire dal 2013 la stragrande maggioranza dei Comuni ha abbandonato le precedenti modalità di calcolo del prelievo, applicando il sistema che ha ingenerato l’errore.
Inoltre, non dovrebbe esserci spazio ai rimborsi per gli anni in cui è stata applicata la cosiddetta tariffa puntuale sui rifiuti. Questa tipologia di tributo, infatti, prevede che la quota variabile sia calcolata per ciascun utente in ragione delle quantità di rifiuti effettivamente conferita al servizio pubblico. In questo caso, dunque, essendo la quota variabile proporzionata ai sacchetti conferiti non dovrebbe esserci alcun indebito pagamento.
Prima di chiedere il rimborso, poi, occorre verificare che il Comune sia realmente incorso nell’errore in esame. Per far questo, è sufficiente analizzare con attenzione gli avvisi di pagamento del tributo che dovrebbero dettagliare, per ciascuna unità immobiliare distintamente accatastata, il calcolo dell’importo da versare. Se ci si accorge che, in corrispondenza delle unità immobiliari della casa e delle relative pertinenze, sono state conteggiate separatamente più volte le quote variabili di tariffa, allora vi sono le premesse per la richiesta del rimborso.
È necessario, inoltre, prestare attenzione al soggetto cui rivolgere l’istanza. Se l’entrata era gestita da una società privata e gli avvisi di pagamento erano per l’appunto emessi a nome della stessa, allora anche la domanda deve essere inoltrata a tale società. Se la società dell’epoca non c’è più, perché è subentrato un altro gestore, allora sarà opportuno proporre l’istanza tanto al Comune quanto al nuovo gestore.
Tari gonfiata: si può perdere il diritto al rimborso
Attenzione: ci sono dei casi in cui il contribuente può perdere il diritto al rimborso. Si tratta dell’ipotesi in cui, non avendo pagato l’importo del precedente avviso bonario, il cittadino si è visto recapitare, con raccomandata, un atto di sollecito, contenente l’addebito della tassa dovuta. Ebbene, chi venga a trovarsi in questa situazione dovrà proporre ricorso entro 60 giorni dalla notifica del sollecito, altrimenti la pretesa tributaria diventerà incontestabile.
Tari gonfiata: cosa succede dopo aver presentato la domanda
Dopo aver presentato la domanda, se il Comune non risponde entro 90 giorni si forma il cosiddetto silenzio rifiuto e quindi il contribuente può proporre ricorso in Commissione tributaria provinciale fino a quando il diritto non è prescritto (si hanno, quindi, 5 anni di tempo dal pagamento). Se, invece, il Comune notifica un atto di diniego, allora il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla notifica del diniego.
Attenzione: al fine di ottenere il rimborso, l’onere della prova spetta sempre al contribuente. Ciò significa che spetterà al cittadino dimostrare, al Comune prima e al giudice poi, che le somme sono state pagate illegittimamente e che quindi si ha diritto al rimborso di quanto pagato in eccesso.
Se, dunque, nella fase della richiesta di rimborso non è necessario un legale, questi sarà indispensabile nell’eventuale contenzioso che dovesse in seguito ingenerarsi.