Faccio parte insieme ad altri due soci di una società in accomandita semplice (sas). A seguito di verifica sui conti di esercizio, io e l’altro socio accomandante abbiamo riscontrato “gravi inadempienze amministrative” da parte del socio accomadatario: spese non pertinenti all’attività svolta, cioè acquisti personali con addebito con fattura alla società. Possiamo noi due soci accomandanti a maggioranza richiedere la revoca? Se affermativo quale sono le procedure da attivare?
Nel quesito non è specificato se il socio accomandatario a cui si fa riferimento sia anche amministratore, ma ad ogni modo la legge non consente di assegnare l’amministrazione di una società in accomandita semplice ad un soggetto che non sia un socio accomandatario e siccome nella società del lettore c’è solo un socio accomandatario, egli non può che essere anche amministratore.
Pertanto, per quello che riguarda la revoca del socio accomandatario dalle sue funzioni di amministratore, la legge (cioè gli articoli 2315, 2319, 2293 e 2259 del codice civile) prevede quanto segue:
1) se la nomina dell’amministratore è avvenuta direttamente con l’atto costitutivo, e ricorra una giusta causa, per la revoca è sufficiente che ci sia il consenso unanime degli altri soci (in questo caso degli accomandanti):
infatti la Corte di Cassazione, con sentenza n. 13.761 del 12 giugno 2009, ha chiarito che se l’amministratore (di una società di persone) da revocare sia anche socio non è richiesto il suo consenso ai fini di ottenere la sua revoca (il suo voto, infatti, sarebbe in evidente conflitto di interessi).
Pertanto se ricorre una giusta causa, il socio accomandatario che sia amministratore può essere revocato dall’incarico con il voto favorevole dei due accomandanti espresso in una apposita delibera dell’assemblea che sia stata convocata secondo le norme interne e le procedure descritte nell’atto costitutivo.
Se ciò dovesse accadere, se cioè verrà revocata la facoltà di amministrare al socio accomandatario (l’unico accomandatario che, anche se non sarà più amministratore, resterà comunque socio accomandatario), la società si troverà in una situazione di paralisi (dato che l’amministrazione spetta per legge solo agli accomandatari) dalla quale potrà uscire o con l’immissione di un nuovo socio accomandatario o con la modifica dell’atto costitutivo per permettere la trasformazione di un socio accomandante in socio accomandatario: se non vi fosse, invece, né l’immissione di un nuovo socio accomandatario, né la trasformazione di un socio accomandante in socio accomandatario, la società dovrebbe sciogliersi (così decise la Corte di Cassazione in un caso analogo con sentenza n. 6871 del 23 luglio 1994).
2) Se, invece, la nomina dell’amministratore è avvenuta in atto separato (non quindi nell’atto costitutivo), la revoca della facoltà di amministrare in presenza di giusta causa dovrà essere richiesta al giudice anche da un singolo socio ai sensi dell’articolo 2259, 3° comma, del Codice civile (in questo caso sarà quindi necessario, per ottenere la revoca dell’amministratore, proporre un’azione legale dinanzi al Tribunale competente affidandosi ad un legale).
Inoltre, ai fini della valutazione delle correttezza dell’operato del socio accomandatario (in quanto amministratore), si noti che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 10680 del 14 dicembre 1994) e poi anche la sezione I della Corte di Cassazione (con sentenza n. 3737 del 9 marzo 2012) negarono ad un amministratore di società di capitali il rimborso delle spese sostenute perché le stesse non furono erogate per eseguire l’incarico (il principio può essere esteso anche agli amministratori di società di persone perché anch’essi sono tenuti ad eseguire il loro incarico in base alle norme sul contratto di mandato ai sensi dell’articolo 2260 del codice civile).
Infine, si precisa che la giusta causa che legittima la revoca dell’amministratore ricorre per ogni situazione che pregiudichi la gestione sociale (così tribunale di Verona, sentenza del 9 giugno 1994) e, in generale, per ogni condotta che costituisca una violazione degli obblighi di lealtà, correttezza e diligenza e che sia tale da incidere negativamente sul carattere fiduciario dell’incarico ricoperto.
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Angelo Forte