Gli istituti di credito non sono immuni alla crisi: come si salvano? Ecco le banche commissariate di recente e come scegliere la banca giusta.

La crisi non colpisce solo i consumatori o le aziende. La crisi morde anche le banche ed il sistema che le regge, al punto di portarle sull’orlo del fallimento, se non fosse per gli interventi legislativi che provvedono al loro salvataggio.

Uno su tutti, il bail-in, cioè il meccanismo voluto dall’Unione europea [1] ed entrato in vigore in Italia il 1 gennaio 2016 per risolvere la crisi di una banca coinvolgendo tutti i soggetti interessati: azionisti, obbligazionisti, correntisti.

Tuttavia, questo sistema non basta per far dormire tranquilli i risparmiatori italiani. Di casi di banche in difficoltà o sull’orlo del baratro ne abbiamo sentito parlare negli ultimi tempi (anche con qualche strascico di polemica politica, come nel caso di Banca Etruria). Ma ci sono ancora delle banche italiane a rischio? E quali sono? Fino a che punto i correntisti devono preoccuparsi dei propri risparmi? E che significa il pericolo di commissariamento di una banca?

Banche a rischio: che cos’è il bail-in e come funziona

Dicevamo della direttiva europea che riforma le procedure da avviare nelle crisi bancarie, il cosiddetto bail-in. Che cos’è, come funziona e come si può applicare alle banche italiane a rischio?

La disciplina si basa sulla possibilità di ricorrere, in alternativa al salvataggio interno, alla cessione di beni e rapporti giuridici ad un terzo soggetto, sull’ordine gerarchico di chi deve affrontare le perdite, e su un altro principio: nessun azionista o creditore può assumersi una perdita maggiore di quella che sopporterebbe se ci fosse una liquidazione amministrativa forzata.

E le conseguenze di una crisi bancaria per i correntisti? Non è permesso un prelievo forzoso dal conto di chi ha depositi inferiori a 100mila euro. Non vengono toccati nemmeno i patrimoni (azioni, obbligazioni, ecc.) che la banca ha in gestione per conto dei risparmiatori. Ma, comunque, i clienti più abbienti sono chiamati a metterci del loro per risanare la situazione.

A rispondere in primis sono i soggetti che hanno rapporti diretti con la banca. Lo Stato può intervenire solo in casi estremi, cioè se la stabilità finanziaria o l’interesse pubblico vengono messi in discussione. Comunque, non lo farà a fondo perduto: in questi casi, lo Stato partecipa al capitale sociale e la banca diventa temporaneamente di proprietà pubblica.

Resta, comunque, comprensibile la reazione dei correntisti che devono partecipare all’eventuale salvataggio dell’istituto di credito in cui hanno i loro soldi. Una situazione non creata dal cliente ma che il cliente (nel suo interesse) deve sistemare insieme agli azionisti. Una reazione che consiste nel prendere «il malloppo» e scappare. Ritirare, cioè, i soldi dalle banche italiane a rischio e portarli in quelle più forti, che offrono maggiori garanzie.

Quali sono le banche italiane a rischio?

Premessa fondamentale: quelle che ad oggi risultano delle banche italiane a rischio, domani potrebbero non esserlo più. Oppure, all’elenco se ne può essere aggiunta qualche altra.

Diversi istituti sono commissariati dalla Banca d’Italia per poi essere assorbiti da altre realtà. È il caso, ad esempio, di Banca Brutia, con sede a Cosenza, oggi rilevata da Banca Sviluppo. O della Cassa di risparmio di Loreto che, dopo un periodo di difficoltà, è entrata a far parte del gruppo Ubi Banca, della Banca popolare dell’Etna, confluita in Igea, e così via. Altre, come la Cassa di risparmio di Chieti, dopo un periodo di commissariamento, è diventata soltanto un ricordo per clienti e dipendenti.

Da precisare anche che il commissariamento non deve, per forza, far pensare ad un fallimento. Tuttavia, è un segnale di difficoltà dell’istituto stesso. C’è anche da dire che alcune di queste banche hanno trovato un’occasione di rilancio attraverso la fusione con altri istituti.

Sono anche in una situazione piuttosto delicata queste tre banche:

  • Monte dei Paschi di Siena;
  • Veneto Banca;
  • Banca Popolare di Vicenza.

Come scegliere la banca giusta

Possono sembrare tutte uguali, ma per non incappare nelle banche italiane a rischio, cioè per scegliere la banca giusta, occorre considerare una serie di variabili. Non bisogna «fossilizzarsi» troppo su costi o tasso di interesse sui depositi: la differenza tra un istituto e l’altro è praticamente irrilevante. Piuttosto, sarebbe più conveniente considerare altri parametri. Ecco i più importanti.

La diffusione territoriale

Spesso la scelta di una banca si basa sulla comodità, su quella più immediata: ho lo sportello sotto casa, conosco gli impiegati, loro conoscono me e sanno consigliarmi in base alle mie esigenze e alle mie possibilità. E fin qui, nulla da dire. Il problema è sapere che cosa posso fare quando esco dal mio paesino o dalla mia città: se non hanno degli sportelli in altri luoghi, quanto mi costa fare un prelievo? La loro carta di credito sarà accettata all’estero?

Le alternative sono due: o si sceglie una banca con una diffusione territoriale capillare (quella che, sicuramente, ti offrirà uno sportello ovunque e che lavora con i più grandi circuiti di pagamento) oppure si sceglie una banca online, raggiungibile anche in Madagascar.

L’assistenza

Altro aspetto fondamentale, soprattutto per chi non è molto afferrato in materia e ha bisogno di un consiglio o di risolvere un problema: l’assistenza al cliente o, per dirla in modernese, il customer care. Anche in questo caso, le banche online hanno una marcia in più, perché gli «sportelli» sono aperti 24 ore su 24. Chi, invece, preferisce la banca tradizionale, dovrà basare la sua fiducia nella banca su due componenti: la disponibilità e la competenza. E non sempre in quest’ordine.

Il controllo del patrimonio di vigilanza

Qui entriamo in dettagli un po’ più tecnici. Il controllo del patrimonio di vigilanza è l’elemento che definisce la qualità degli investimenti fatti dalla banca rispetto al patrimonio che gestisce.

Questo parametro viene definito con il cosiddetto CET1 Ratio, cioè il Common Equity Tier 1 Ratio. È ancora linguaggio cinese? Vediamo di capire di più.

Dicono gli accordi di Basilea, cioè le linee guida in materia di requisiti patrimoniali delle banche firmate nel 2004 e operative dal 2007, che ci sono due tipi di patrimoni (due tier, appunto): il tier 1, o classe principale, composto dal capitale azionario e dalle riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte. Poi c’è un secondo tier, cioè un’altra classe di patrimonio, chiamato «supplementare», composto da elementi aggiuntivi.

In sostanza, il CET1 Ratio serve a determinare gli investimenti che una banca può fare rispetto al patrimonio di cui dispone. È quindi un indicatore di solidità. Le norme europee hanno fissato un CET1 Ratio minimo dell’8%.

Il rating

Da non trascurare, il parere (cioè il rating) espresso dalle agenzie specializzate come Standard and Poor’s, Moody’s o Fitch Rating. Queste società assegnano una sorta di «voti» alle banche sulla loro capacità di ripagare il proprio debito. Più alto è il voto, più la banca dovrebbe dimostrarsi solida.

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