Dopo la cartella di pagamento, per debiti superiori a 10mila euro, l’Agenzia Entrate Riscossione notifica il sollecito di pagamento, atto che secondo la Cassazione può essere contestato.
Qualche anno fa hai ricevuto una cartella esattoriale che non hai inteso pagare e ora l’Agenzia Entrate Riscossione ti ha notificato un sollecito di pagamento, un atto cioè in cui ti ricorda del debito pendente e ti avvisa che, se non lo onorerai al più presto, inizierà le azioni esecutive, magari il pignoramento dello stipendio, della pensione o del conto corrente bancario. A suo tempo, non hai avuto modo di impugnare la cartella ma ora intendi esercitare i tuoi diritti perché il tono usato dall’esattore ti sembra perentorio e temi che ne possano derivare conseguenze per i tuoi beni personali. Ti chiedi però se si può contestare un sollecito di pagamento inviato dal fisco visto che sembrerebbe più trattarsi di un «avviso bonario» piuttosto che di una intimazione vera e propria di pagamento. Sul punto la soluzione non è così immediata e agevole come potrebbe apparire. Ecco perché.
Il sollecito di pagamento è un atto che viene spedito dall’Agente della riscossione dopo la notifica della cartella di pagamento vera e propria e solo per debiti non superiori a 10mila euro. È con quest’ultima che il contribuente viene informato del debito, delle motivazioni di esso, delle sanzioni e degli interessi. Insomma, la cartella è il vero e proprio titolo esecutivo che consente al fisco di avviare gli atti di esecuzione forzata e, in quanto tale, è motivato. Ciò non significa che il sollecito di pagamento possa essere generico; al contrario, insieme al sollecito deve essere allegato un “dettaglio degli addebiti”, dal quale si possa comprendere a quali tributi e a quali cartelle si fa riferimento. Da questo dettaglio il contribuente può verificare se gli importi sono dovuti o meno. Ad esempio ci si può accorgere che:
- il pagamento è stato già effettuato;
- il debito è, nel frattempo, caduto in prescrizione;
- si è ottenuto uni provvedimento di sgravio da parte dell’ente titolare del credito o questo ha provveduto a sospendere la sua efficacia esecutiva;
- si è fatto ricorso al giudice e questi ha sospeso la cartella di pagamento.
Insomma, possono essere tante le ragioni per opporsi al sollecito di pagamento.
In materia tributaria il contribuente non può sempre ricorrere al giudice, ma può farlo solo per contestare uno specifico atto ricevuto dall’amministrazione. La legge [1] elenca in modo tassativo quali sono questi atti e, tra questi, non vi è il sollecito di pagamento, considerato più un atto preparatorio all’esecuzione forzata vera e propria. Peraltro, se il contribuente aveva ragioni di cui dolersi della pretesa esattoriale avrebbe potuto farle valere impugnando la cartella notificata a monte. Avendo però fatto decorrere i termini per tale contestazione, non ci sono ragioni per allungarli facendo ricorso contro il successivo sollecito. Dall’altro lato c’è chi ritiene che anche il sollecito di pagamento per il mancato versamento di una cartella esattoriale possa essere autonomamente impugnabile e, tra questi, c’è la Cassazione. Insomma, restano ancora numerosi dubbi sul fatto se si può contestare un sollecito di pagamento.
A favore della tesi contraria al contribuente, vi è una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia [2] secondo cui il sollecito di pagamento inviato da Agenzia Entrate Riscossione al contribuente non sarebbe un atto autonomamente impugnabile, non essendo espressamente richiamato dalla legge.
Tuttavia la Cassazione ha sposato da tempo il principio della «non tassatività degli atti impugnabili», sostenendo in pratica che, sebbene la legge elenchi quali siano gli atti dell’amministrazione contestabili davanti al giudice tributario, tale elenco non costituisce un limite. Sono infatti impugnabili anche gli «atti non autoritativi», purché «idonei a portare a conoscenza i presupposti di fatto e le ragioni in diritto della pretesa impositiva o del diniego del diritto vantato dal contribuente» [3]. Tuttavia, secondo i giudici lombardi, il sollecito di pagamento non è equiparabile a una cartella di pagamento, sebbene ad essa successivo, ed ha solo la funzione di invitare il contribuente al sollecito pagamento del tributo, senza però incidere nella sua sfera patrimoniale. Quindi esso non è impugnabile. Questa tesi è stata a lungo sposata anche dalla Cassazione. Stando così le cose, l’unico modo che ha il contribuente per difendersi è attendere il pignoramento e verificare se vi sono vizi in quest’ultima fase della procedura.
Di recente, la Suprema Corte però ha rivisto il proprio precedente orientamento e ora è più orientata a ritenere il sollecito di pagamento come atto autonomamente impugnabile, nonostante si tratti di un sollecito bonario. Alla luce di questa interpretazione, la contestazione del sollecito di pagamento non è obbligatoria, ma facoltativa.
L’opposizione al sollecito di pagamento può essere effettuata davanti al giudice (Giudice di Pace per le multe stradali, Tribunale ordinario per i contributi previdenziali, Commissione Tributaria Provinciale per tutti gli altri casi).