Guida legale sul reato previsto e punito dall’art.646 c.p. con raccolta di articoli e sentenze

In questa pagina:

  • Cosa è l’appropriazione indebita
  • Come viene punita l’appropriazione indebita
  • Quando si prescrive il reato
  • La procedibilità per l’appropriazione indebita
  • Mancata restituzione di denaro o beni
  • Consumazione ed elemento soggettivo del reato
  • La giurisprudenza sull’appropriazione indebita
  • Articoli e sentenze sull’appropriazione indebita
  • Denuncia – querela per appropriazione indebita (con – facsimile)

 

Cosa è l’appropriazione indebita

L’appropriazione indebita è quel reato punito dall’art. 646 del codice penale che commette chi, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o di una cosa mobile altrui, della quale abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.

Il testo dell’art. 646 Appropriazione indebita

Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa , con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a milletrentadue euro.

Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.

Si procede d’ufficio , se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell’articolo 61.

Come viene punita l’appropriazione indebita

Come si vede, l’appropriazione indebita è punita con:

  • la reclusione fino a tre anni e
  • la multa fino a euro 1.032,00.

Nel caso in cui il fatto sia stato commesso da chi possedeva il bene a titolo di deposito necessario è tuttavia previsto un aumento di pena fino a un terzo (salvo ulteriori aumenti in caso di aggravanti).

Si precisa, a tal proposito, che si ha deposito necessario nel caso in cui il depositario non sia stato scelto con ponderazione e, in particolare, quando il deposito sia determinato da qualche accidente, come un incendio, una rovina, un saccheggio, un naufragio o un altro accadimento non previsto.

Quando si prescrive il reato

Il normale termine di prescrizione del reato di appropriazione indebita (ossia senza tenere conto delle interruzioni) è di in sei anni.

Infatti, l’articolo 157 del codice penale (v. libro primo titolo VI del codice penale) stabilisce che “la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione”.

La procedibilità per l’appropriazione indebita

Il reato di appropriazione indebita, come regola generale, è punibile a querela della persona offesa. A tal proposito va ricordato che il diritto di querela va necessariamente esercitato nel termine massimo di tre mesi decorrenti dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato.

In alcuni casi, tuttavia, è prevista la procedibilità d’ufficio. In particolare, si tratta delle seguenti ipotesi:

  • il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario,
  • ricorre taluna delle circostanze indicate nell’art. 61, n. 11, c.p., ovverosia il fatto è commesso con abuso di autorità o di relazioni domestiche o con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità.

Mancata restituzione di denaro o beni

La finalità della norma che sanziona l’appropriazione indebita è quella di punire, con lo strumento penale, chiunque si trovi ad avere la disponibilità di un bene e, approfittando di tale situazione di “vantaggio”, si comporti rispetto allo stesso uti dominus, ossia come se ne fosse il proprietario, senza in realtà esserlo.

Soggetto attivo del reato può essere, quindi, chiunque abbia il possesso del denaro o della cosa, sorto in base a qualsiasi titolo purché non idoneo al trasferimento della proprietà.

Consumazione ed elemento soggettivo del reato

Il reato di appropriazione indebita si intende consumato quando il soggetto che ha la disponibilità della cosa pone in essere un comportamento idoneo a esprimere la volontà di appropriarsene in via definitiva.

Elemento soggettivo del reato è il “dolo specifico“, che si estrinseca nella coscienza e nella volontà di appropriarsi definitivamente della cosa mobile altrui con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto (non è necessario che quest’ultimo sia effettivamente conseguito).

La giurisprudenza sull’appropriazione indebita

Riportiamo qui di seguito quanto affermato dalla Cassazione in materia di appropriazione indebita in alcune recenti sentenze:

“L’appropriazione indebita si verifica nel momento in cui il detentore attua la c.d. interversione del possesso che consiste nell’attuare sul bene di proprietà altrui atti di disposizione uti dominus e, quindi, nell’intenzione di convertire il possesso in proprietà”. Tuttavia “la semplice ritenzione del bene, quando origini da una lite civile in cui ognuno dei contendenti fa valere le proprie ragioni nei confronti dell’altro, non costituisce, di per sé, un indice sicuro della volontà di intervertire il possesso e cioè un comportamento uti dominus, potendo, al più, essere qualificato come un mero inadempimento come tale solo civilisticamente sanzionabile” (Cass. n. 45298/2017).

“Il denaro può essere oggetto di interversione nel possesso, e conseguente appropriazione indebita solo quando sia consegnato dal legittimo proprietario, ad altri con specifica destinazione di scopo che venga poi violata attraverso l’utilizzo personale da parte dell’agente; solo ove il mandatario violi quindi il vincolo fiduciario che lo lega al mandante e destini le somme a scopi differenti da quelli predeterminati può integrarsi una condotta di appropriazione indebita. Viceversa, ove si sia in presenza della mancata restituzione di somme date o concesse in qualunque forma di prestito, l’inadempimento dell’obbligo non determina l’integrazione della fattispecie delittuosa di cui all’art. 646 c.p.” (Cass. n. 24857/2017).

“Non integra il delitto di appropriazione indebita, ma un mero inadempimento di natura civilistica, la condotta del promittente venditore che, a seguito della risoluzione del contratto, non restituisca al promissario acquirente l’acconto sul prezzo del bene promesso in vendita” (Cass. n. 15815/2017).

Lo sai che:

Presupposti del reato di appropriazione indebita e differenze con il reato di furto

Soggetto attivo può essere chiunque abbia il possesso del denaro o della cosa mobile altrui: vi rientrano, pertanto, i comproprietari, i compossessori, i coeredi e i soci, ma non il proprietario della cosa stante il requisito dell’altruità (Cass. SS.UU., n. 37954/2011; SS.UU. n. 1327/2005).

Presupposto della fattispecie criminosa de qua, che vale a distinguerla da quella del reato di furto, è la situazione di possesso della cosa altrui, sorto in base a qualsiasi titolo, purché non idoneo al trasferimento della proprietà.

Pur richiamando i medesimi concetti di natura civilistica, la nozione di possesso della fattispecie incriminatrice se ne differenzia, involgendo ogni situazione giuridica che si concretizza nel potere di disporre della cosa in modo autonomo al di fuori della sfera di vigilanza del proprietario, abbracciando in tal senso anche la detenzione (cfr. Cass. n. 34851/2008; n. 39909/2007).

Finalità della previsione sanzionatoria è quella di punire, con lo strumento penale, chiunque si trovi ad avere la disponibilità di un bene e approfittando di tale situazione di “vantaggio” si comporti rispetto allo stesso, uti dominus, ossia come se ne fosse il proprietario, compiendo atti di destinazione del bene stesso incompatibili sia con il titolo che con le ragioni che ne legittimano il possesso (o la detenzione).

Il delitto si intende consumato con il compimento della condotta appropriativa,ovvero quando il soggetto si comporta uti dominus verso la cosa della quale ha disponibilità per qualsivoglia motivo.

L’elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita

Elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita è il “dolo specifico”,giacché oltre alla rappresentazione della coscienza e della volontà di appropriarsi della cosa mobile altrui posseduta, occorre lo specifico ed ulteriore scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante una condotta che eccede le facoltà o i diritti compresi nel titolo del possesso (la c.d. interversione del possesso), senza che sia indispensabile che il profitto ingiusto sia effettivamente conseguito (Cass. n. 32155/2012).

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