Valido il contratto senza forma scritta. Sì agli interessi per relationem con rinvio a criteri oggettivi sottratti alla determinazione unilaterale della banca
l contratto di apertura di credito (noto nella prassi bancaria come “fido”) è valido anche se non in forma scritta, purché trovi la propria regolamentazione nel sottostante contratto di conto corrente, redatto per iscritto. Inoltre, nel fido, la banca non può richiamare un tasso di interesse non espresso in cifra, definito dalla stessa con riferimento a proprie condotte, o prassi aziendali, giacché si pone in violazione di quanto disposto dall’art. 117, comma 4, TUB, con riferimento all’obbligo, ivi previsto, di enunciazione nel contratto del tasso di interesse.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 26 giugno 2019 n. 17110(testo integrale in calce), in cui analizza vari aspetti legati ai contratti bancari: dalla redazione per iscritto, alla mancata sottoscrizione da parte dell’intermediario, all’indicazione per relationem del saggio percentuale e, infine, al tasso usurario.
Sommario
- La vicenda
- Quadro normativo
- Contratto di apertura di credito e forma scritta
- Mancata sottoscrizione da parte dell’intermediario
- Validità della convenzione di interessi ultralegali
- Saggio di interesse indicato per relationem
- Rinvio ad elementi esterni oggettivamente individuabili
- Interessi usurari sopravvenuti
- Conclusioni
La vicenda
Un istituto di credito agiva in via monitoria contro l’obbligato principale e il fideiussore a causa di un significativo scoperto (quasi 800 mila euro). In particolare, il debitore era titolare di tre conti correnti, tutti volturati a sofferenza. Ricordiamo che la cosiddetta “scritturazione a sofferenza” si verifica allorché l’insolvenza del correntista sia tale da non poter essere sanata [1]. Gli ingiunti si opponevano al decreto ingiuntivo deducendo la nullità dei tre contratti di conto corrente per l’assenza di prova scritta e l’applicazione illegittima di interessi ultralegali, anatocistici e usurari. In primo grado, l’opposizione veniva accolta, il decreto ingiuntivo revocato e la somma dovuta alla banca rideterminata in circa 300 mila euro; l’importo viene ulteriormente modificato in appello. Si giunge così in Cassazione.
Quadro normativo
Prima di analizzare il decisum, ricordiamo brevemente le norme che vengono in rilievo in materia di forma scritta dei contratti bancari:
- Il testo unico bancario (d.lgs. 385/1993), art. 117, dispone che:
“i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti;
il CICR può prevedere che, per motivate ragioni tecniche, particolari contratti possano essere stipulati
il CICR può prevedere che, per motivate ragioni tecniche, particolari contratti possano essere stipulati in altra forma; nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo”. - Delibera CICR del 4 marzo 2003, recante la “disciplina della trasparenza delle condizioni contrattuali delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”.
- Il decreto del Ministero del Tesoro del 24 aprile 1992, recante “norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”, art. 4, ove si rimette alla Banca d’Italia la facoltà:
“di individuare modalità particolari per i contratti relativi a operazioni e servizi che si innestano su rapporti preesistenti originati da contratti redatti per iscritto”. - Le istruzioni del 24 maggio 1992 della Banca d’Italia, art. 2, punto 1.4, ove si statuisce che:
“la forma scritta non è necessaria per operazioni e servizi già previsti in contratti redatti per iscritto”.
Per completezza, si precisa che le disposizioni contenute nella normativa regolamentare di cui sopra hanno mantenuto vigenza anche a seguito dell’entrata in vigore del testo unico bancario.
Contratto di apertura di credito e forma scritta
Innanzitutto, ricordiamo che l’apertura di credito, nota anche nella prassi come “fido bancario” o “castelletto”, è il contratto con cui la banca (accreditante) si obbliga a tenere a disposizione del cliente (accreditato) una determinata somma di denaro, per un dato tempo (art. 1842 c.c.) [2]. Ebbene, i ricorrenti, proprio in relazione all’apertura di credito, ne sostengono la nullità per carenza di forma scritta [3]. La Corte ritiene infondato il motivo di ricorso, in quanto il negozio di cui trattasi non difetta del requisito di forma. Infatti, è pur vero che la normativa di settore prescrive la redazione per iscritto dei contratti bancari, a pena di nullità; tuttavia, fa salvi i contratti redatti in altra forma, ove sia così previsto dal CICR (art. 117 c. 2 TUB). In particolare, nella fattispecie in esame, il fido trova la propria regolamentazione nel sottostante contratto di conto corrente, formulato per iscritto. La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che il contratto di apertura di credito, se risulta già previsto e disciplinato dal contratto di conto corrente stipulato per iscritto, non deve, a sua volta, essere redatto per iscritto, a pena di nullità (Cass. 14470/2005; 7763/2017; Cass. 27836/2017).
Mancata sottoscrizione da parte dell’intermediario
I ricorrenti invocano la nullità del contratto anche per il difetto di sottoscrizione dello stesso da parte del funzionario di banca. La Suprema Corte rigetta tale censura in base al consolidato principio per cui «il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dal d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti» (Cass. S.U. 1653/2018; Cass. S.U. 898/2018). Il suddetto principio trova applicazione anche in relazione ai contratti bancari, in cui la mancata sottoscrizione da parte dell’intermediario si considera irrilevante in presenza di comportamenti concludenti della banca idonei a dimostrare la volontà di avvalersi del contratto, come, ad esempio, mediante l’invio periodico di estratti conto (Cass. 16070/2018). In particolare, si è affermato che consistono in un valido equivalente della sottoscrizione mancante:
- la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta (nel nostro caso, la banca),
- ogni altra manifestazione di volontà del contraente non firmatario, risultante da uno scritto diretto alla controparte e dalla quale emerga l’intento di avvalersi del contratto.
Quanto sopra vale purché la parte che, invece, ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso ovvero non sia deceduta (Cass. 5919/2015; Cass. 22223/2006, Cass. 9543/2002, Cass. 2826/2000).
Validità della convenzione di interessi ultralegali
Prima di analizzare le doglianze dei ricorrenti, ricordiamo cosa prevede la normativa bancaria in materia di pattuizione di interessi ultralegali:
- l’art. 117 c. 4 TUB dispone che i contratti debbano indicare il tasso di interesse praticato (oltre a ogni altro prezzo e condizione);
- l’art. 117 c. 6 TUB prevede la nullità delle clausole che rinviano agli usi per la determinazione del saggio percentuale;
- l’art. 1284 c. 3 c.c. statuisce che gli interessi superiori alla misura legale vadano determinati per iscritto, in difetto sono dovuti nella misura legale.
Ciò premesso, i ricorrenti si dolgono del fatto che nessun interesse sia stato pattuito in relazione ai diversi contratti di apertura di credito e di sconto bancario. Inoltre, rilevano come il tasso non possa dirsi richiamato per relationem dalla mera indicazione del top rate [4].Si palesa, quindi, la violazione dell’art. 117 c. 4 TUB. La Corte, nel proprio percorso delibativo, prima, richiama l’orientamento della giurisprudenza di legittimità espresso anteriormente all’entrata in vigore del testo unico bancario per passare, poi, a valutare se tale indirizzo possa dirsi confermato anche sotto la sua vigenza. Ebbene, la giurisprudenza è costante nel ritenere che la pattuizione di interessi ultralegali sia rispettosa dell’art. 1284 c. 3 c.c. (che ne dispone la predeterminazione) allorché, sebbene non specificando numericamente il saggio percentuale, «contenga il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché oggettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del tasso stesso» (Cass. 8028/2018; Cass. 3480/2016; Cass. 25205/2014; Cass. 2072/2013; Cass. 19 maggio 2010, n. 12276). Inoltre, nel caso in cui la convenzione riguardi un tasso di interesse variabile, è necessario, ai fini dell’esatta individuazione concreta del saggio, «il riferimento a parametri che consentano la sua precisa determinazione, non essendo sufficienti generici riferimenti dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione» (Cass. 24153/2017; Cass. 22179/2015; Cass. 17679/2009; Cass. 23172007).
Saggio di interesse indicato per relationem
Secondo il ragionamento della Corte, l’art. 117 c. 6 TUB, non vieta di identificare per relationem il saggio di interessi. Si può evincere a contrario, giacché la norma si limita a precludere il mero rinvio agli usi e null’altro. Tale lettura pare corroborata anche dalla stessa ratio della legge che intende salvaguardare il cliente, garantendogli la trasparenza del rapporto e l’elisione delle asimmetrie informative; in altre parole, si vuole mettere il contraente debole nella condizione conoscere con chiarezza i termini economici dei costi, dei servizi e delle remunerazioni contenuti nel contratto. Con riferimento agli interessi, tale finalità viene raggiunta, non solo tramite l’indicazione numerica del tasso, ma anche con il rinvio a elementi esterni, obiettivamente individuabili.
Invece, è in contrasto con l’obiettivo perseguito dalla legge e, quindi, deve considerarsi illegittimo il rinvio a fonti esterne, quando il saggio di interesse dipende dalla determinazione unilaterale della banca, da pubblicizzare con una certa modalità.
In buona sostanza, la ratio della norma consiste nel garantire la trasparenza a favore del cliente e viene frustrata da qualsiasi meccanismo di relatio, che si traduca con la possibilità della banca di occultare delle condizioni economiche del rapporto che, invece, avrebbe dovuto palesare. In altre parole, contrasta con l’art. 117 TUB, la condotta della banca che non espliciti il tasso di interesse che intende praticare e rinvii ad altri elementi da cui desumerlo, che non sono oggettivi ed esterni, ma soggetti alla sua determinazione unilaterale. In definitiva, «ammettere che la banca possa richiamare, in contratto, un tasso di interesse non espresso in cifra, ma dalla medesima definito con riferimento a proprie condotte, o prassi aziendali, presenti e future, significa consentire non solo l’elusione dell’art. 117, comma 4, TUB, con riferimento all’obbligo, ivi previsto, di enunciazione in contratto del tasso di interesse, ma altresì, quella dell’art. 118 TUB, recante le condizioni e modalità dello ius variandi» (Cass. 8548/2012; Cass. 16568/2002). Infine, anche in base alle istruzioni della Banca d’Italia, la facoltà dell’istituto di credito di rinviare a fonti esterne per definire la misura degli interessi è limitata ai casi in cui non sia materialmente possibile definire in cifra il tasso.
Rinvio ad elementi esterni oggettivamente individuabili
Secondo la Cassazione, la pattuizione che rinvia ad un generico top rate per la determinazione del saggio percentuale degli interessi è illegittima, giacché non contiene il rinvio ad elementi esterni, individuabili e indipendenti dalla volontà della banca. Nel caso di specie, la clausola contrattuale prevedeva un “avviso sintetico esposto al pubblico”; ebbene, anche se nel suddetto avviso fosse stata indicata la percentuale del top rate, la clausola avrebbe comunque violato l’art. 117 c. 4 TUB per la mancata riproduzione all’interno del regolamento contrattuale. Inoltre, l’adempimento di obblighi pubblicitari (art. 116 c. 1 TUB), per cui in ogni locale aperto al pubblico sono resi noti i tassi di interesse, i prezzi, le spese per le comunicazioni alla clientela e ogni altra condizione economica relativa ai servizi offerti, senza potersi far rinvio agli usi, non supplisce alla mancata specificazione, nel contratto, del tasso di interesse convenuto. Anche se il tasso fosse stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, la banca non sarebbe stata esonerata dalla puntuale enunciazione dello stesso all’interno del contratto.
Interessi usurari sopravvenuti
I ricorrenti invocano l’art. 1815 c. 2 c.c. (come modificato dalla legge 108/1996), a mente del quale se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. La disposizione trova applicazione anche per i contratti conclusi anteriormente alla sua entrata in vigore, purché relativi a rapporti non ancora esauriti. La Corte di merito ha previsto, nel caso in esame, la sostituzione automatica dei tassi convenzionali, con i tassi soglia applicabili in relazione ai diversi periodi. Invero, gli Ermellini ricordano come la “regola” applicata dal giudice di merito sia stata superata da un arresto giurisprudenziale (Cass. S.U. 24675/2017) secondo cui se, nel corso dello svolgimento del rapporto, venga superata la soglia dell’usura, non si verifica la nullità della clausola contrattuale sulla determinazione del tasso degli interessi. In particolare, la nullità non si verifica se:
- la clausola è anteriore all’entrata in vigore della legge (legge 108/1996), ovvero
- la clausola, anche se posteriore, riguarda un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula.
Prima dell’intervento delle Sezioni Unite, la Cassazione aveva affermato che i contratti, contenenti tassi usurari, stipulati prima dell’entrata in vigore della legge stessa, avrebbero subito, come conseguenza, la sostituzione automatica dei tassi convenzionali con i tassi soglia applicabili in relazione ai diversi periodi (Cass. 602/2013). Pertanto, i ricorrenti non possono ottenere l’azzeramento, nel caso di usura sopravvenuta, degli interessi percepiti dalla banca, in applicazione dell’art. 1815 c. 2 c.c., in quanto trattasi di un risultato escluso dalla giurisprudenza di legittimità, presente e passata.
Conclusioni
In conclusione, dopo un lungo percorso delibativo, in cui la Corte si è occupata della forma scritta a pena di nullità nel contratto di apertura di credito, della mancata sottoscrizione da parte dell’intermediario, delle conseguenze della previsione di tassi usurari e, infine, della convenzione di interessi ultra-legali, viene enunciato il seguente principio di diritto:
[1] Prima del “giro a sofferenza”, si apre l’”incaglio”, ossia la fase in cui la banca chiede al cliente di rientrare del debito. Se durante questa fase il debito non viene sanato, si passa alla scritturazione a sofferenza. A questo punto, le pratiche volturate a sofferenza possono formare oggetto di azioni per il recupero del credito, come accaduto nella fattispecie di cui trattasi. La sofferenza, inoltre, comporta che tutta la linea di credito del debitore, con le varie banche, venga revocata e la situazione di insolvenza sia segnalata al CRIF (Centrale Rischi d’Intermediazione Finanziaria). [2] Definizione tratta da F. GALGANO, Diritto commerciale. L’imprenditore, Bologna, Zanichelli, 2005, 244 ss. [3] Per completezza, si precisa che i ricorrenti si dolgono della carenza di forma scritta anche con riferimento ai contratti di “castelletto di sconto”. Con tale dizione, si fa riferimento al contratto di sconto bancario (art. 1858 c.c.) o “fido per smobilizzo crediti” con cui il cliente cede alla banca, salvo buon fine (ossia garantendo l’esistenza del credito) un proprio credito verso terzi, previa deduzione dell’interesse – al tasso di sconto praticato dalla banca – maturando dal momento dell’anticipazione a quello di scadenza del credito ceduto. Definizione tratta da F. GALGANO, Diritto commerciale. L’imprenditore, Bologna, Zanichelli, 2005, 248.“nella vigenza del d.lgs. n. 385 del 1993, art. 117, il tasso di interesse può essere determinato per relationem, con esclusione del rinvio agli usi, ma in tal caso il contratto deve richiamare criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, risultano essere sottratti all’unilaterale determinazione della banca”.