Il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente tra gli stessi intervenuto può essere esercitato, ai sensi del comma 4 dell’art. 119, d.lgs. n. 385/1993 (TUB) anche in corso di causa e a mezzo di qualunque modo si mostri idoneo allo scopo.

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 11 maggio 2017, n. 11554

Fatti di causa

La s.p.a. Hesperia Hospital Modena ricorre per cassazione nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., articolando due motivi avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Bologna, 29 maggio 2012, n. 1123.
Confermando la decisione accolta in primo grado dal Tribunale di Modena in data 16/21 febbraio 2007, con tale pronuncia la Corte territoriale ha respinto la domanda di ripetizione dell’indebito dall’attuale ricorrente formulata nei confronti della Banca in ragione dell’avvenuta corresponsione di somme a titolo anatocistico. Somme che, nel concreto, erano affluite su un conto corrente di corrispondenza e su un conto anticipi, dalla società Hesperia intrattenuti con la ridetta Banca.
In particolare, la Corte ha ritenuto che nella specie non risultava provato il “quantum debeatur” della pretesa restitutoria; e che la richiesta di esibizione della documentazione di conto, che era stata presentata dalla società Hesperia e che era stata ammessa in sede istruttoria, non poteva in realtà trovare accoglimento perché la documentazione, di cui veniva chiesta l’esibizione, rientrava nella disponibilità della parte che la relativa istanza aveva formulato.
Per altro verso, la detta pronuncia ha accolto l’appello incidentale della Banca in relazione alla liquidazione delle spese compiuta dal giudice di primo grado, che era sceso al di sotto dei minimi tariffari in relazione allo scaglione di riferimento.
Al presentato ricorso resiste, con apposito controricorso, la Banca Nazionale del Lavoro.
Entrambe le parti hanno anche presentato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Ragioni della decisione

1.- I motivi di cassazione articolati da Hesperia Hospital Modena denunciano i vizi qui di seguito richiamati.
Il primo motivo denunzia, in specie, “violazione, erronea e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e 61, 191 e 345, comma 2, cod. proc. civ. – omesso esame circa un fatto decisivo della controversia”. Nei fatti, questo motivo fa sostanziale riferimento alla circostanza che, disposto e poi revocato in primo grado l’espletamento di una consulenza tecnico-contabile, nel giudizio di secondo grado una consulenza di questo genere è stata purtuttavia tenuta; a tale circostanza il motivo venendo a ruotare attorno.
Il secondo motivo censura, a sua volta, “violazione erronea e falsa applicazione degli art.li 198, 210, 212 cod. proc. civ. ed art. 2711, comma 2, cod. civ., nonché art. 119 T.U.B. con riferimento agli art.li 1374, 1375 cod. civ. ed art. 116, comma 2, cod. proc. civ.”. Questo motivo si richiama, nella sostanza, al fatto che, negli svolti gradi del giudizio di merito, l’attuale ricorrente ha formulato istanze di esibizione della documentazione di conto bancario e al significato che alle medesime va riconnesso.
2.- Il primo motivo di ricorso, che è stato presentato dal ricorrente, si manifesta inammissibile.
Nell’ambito di un percorso espositivo non linearmente sviluppato, questo motivo risulta inteso a dolersi, in primo luogo, del fatto che la sentenza della Corte di Appello non abbia tenuto in nessun conto le risultanze della consulenza tecnico-contabile, che pure era stata comunque effettuata nel relativo grado di giudizio.
In via distinta il motivo risulta volto a censurare, altresì, che la decisione della Corte territoriale non abbia nemmeno tenuto in conto, nell’elaborare la propria decisione, il fatto che l’attuale ricorrente, con il proprio atto di citazione in appello, aveva prodotto tutta la documentazione dei conti bancari di cui era in possesso, assumendo di averla appena reperita.
3.- In relazione a tali asserzioni, va rilevato che le stesse vengono sul piano oggettivo a revocare in dubbio la correttezza della valutazione del materiale probatorio, che è stata operata dalla Corte bolognese nei confronti delle risultanze nel concreto emerse e utilizzabili.
Il che significa, tra l’altro, che la censura svolta in realtà intende indirizzarsi – al di là dei riferimenti normativi in cui la stessa è stata nel concreto rubricata (art. 2697 cod. civ.; artt. 61, 191 e 345, comma 2, cod. proc. civ.), con riferimento al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ. – al principio espresso dalle norme degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ..
Secondo l’orientamento espresso da questa Corte, peraltro, la violazione e falsa applicazione dei detti artt. 115 e 116, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, è apprezzabile – in sede di ricorso per cassazione – nei soli limiti del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (cfr., da ultimo, la sentenza di Cass., 30 novembre 2016, n. 24434).
D’altra parte, è pure principio acquisito quello per cui una “questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (così l’ordinanza resa ora da Cass., 27 dicembre 2016, 27000). Nessuna di queste ipotesi di vizio della sentenza, però, risulta sia stato in qualche modo allegato, ovvero evocato, dal ricorrente.
4.- Il secondo motivo di ricorso risulta fondato. E va così accolto, secondo i termini che seguono.
Il centro fondante di questo motivo risulta identificabile – al di là delle tortuosità e dispersioni, che ne connotano lo svolgimento nell’affermazione del ricorrente, secondo cui “per ciò che attiene l’art. 119 T.U.B., se è vero che il correntista può richiedere alla banca ai sensi della citata norma i documenti, in qualunque momento, peraltro, magari anche in corso di causa con missiva stragiudiziale, è altrettanto vero che tale richiesta è implicita in una domanda giudiziale in cui il correntista (Hesperia) richiede giudizialmente tali documenti, se del caso anche con richiesta rivolta al giudice che a tanto provveda coattivamente ai sensi dell’art. 210 e 212 cod. proc. civ., ove la banca convenuta non vi ottemperi volontariamente”.
Con tale affermazione è stata censurata, in via segnata, la decisione della Corte di Appello che ha negato ingresso all’ordine di esibizione a suo tempo richiesto dallo stesso ricorrente. Negazione a sua volta motivata sulla base di un rilievo articolato: da una parte, che la richiesta di esibizione documentale può essere accolta solo quando il richiedente non disponga di altre vie di accesso ai documenti; dall’altra, che nella specie, invece, la documentazione ritenuta rilevante si mostrava disponibile alla parte.
Più in particolare, la Corte territoriale ha rilevato che “ai fini della prova delle proprie spettanze la Hesperia Hospital si è limitata, sia in prime cure che in questa sede, a richiedere che venisse ordinato a B.N.L., ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ., l’esibizione degli estratti conto relativi ai suoi rapporti bancari di c/c e di conto anticipi”; e inoltre che, “se Hesperia Hospital si fosse realmente trovata nell’oggettiva difficoltà di reperire tutti gli estratti conto in questione…, essi erano comunque nella sua disponibilità, stante il suo diritto a richiederne copia alla Banca ai sensi dell’art. 119 T.U.B…., diritto che l’appellante non risulta avere inutilmente esercitato prima della proposizione del giudizio”.
In definitiva, il motivo in esame risulta prospettare un duplice ordine di violazioni e false applicazioni della norma dell’art. 119 del testo unico bancario, come poste in essere dalla Corte territoriale. Quest’ultima ha assunto, da un lato, che la facoltà di richiesta di produzione documentale – che la norma dell’art. 119 assegna al correntista – può essere utilmente esercitata da questi solo prima che il giudizio, interessato dalla documentazione bancaria relativa, venga promosso e instaurato; dall’altro, e comunque, che una richiesta giudiziale di esibizione documentale, seppur proveniente dal correntista, non viene a integrare gli estremi di una richiesta di documentazione promossa ex art. 119 TUB.
5.- Nell’assegnare al “cliente, colui che gli succede a qualsiasi titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni” la facoltà di ottenere opportuna documentazione dei propri rapporti bancari, la norma del comma 4 dell’art. 119 TUB non contempla, o dispone, nessuna limitazione che risulti in un qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito. D’altra parte, non risulta ipotizzabile ragione che, per un verso o per altro, possa giustificare, o anche solo comportare, un simile risultato.
Da rimarcare, più ancora, è che la richiamata disposizione dell’art. 119 viene a porsi tra i più importanti strumenti di tutela che la normativa di trasparenza – quale attualmente stabilita nel testo unico bancario vigente (“trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”, secondo la formale intitolazione del titolo VI di tale legge) – riconosca ai soggetti che si trovino a intrattenere rapporti con gli intermediari bancari.
Come è stato rilevato, con tale norma la legge dà vita a una facoltà che non è soggetta a restrizioni (diverse, naturalmente, da quelle previste nella stessa disposizione dell’art. 119). E con cui viene a confrontarsi un dovere di protezione in capo all’intermediario, per l’appunto consistente nel fornire degli idonei supporti documentali alla propria clientela, che questo supporto venga a richiedere e ad articolare in modo specifico. Un dovere di protezione idoneo a durare, d’altro canto, pure oltre l’intera durata del rapporto, nei limite dei dieci anni a seguire dal compimento delle operazioni interessate.
Posta questa serie di rilievi, appare chiaro come non possa risultare corretta una soluzione – qual è quella adottata dalla Corte bolognese – che limiti l’esercizio di questo potere alla fase anteriore all’avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca presso la quale è stato intrattenuto il conto. Ché una simile ricostruzione non risulta solo in netto contrasto con il tenore del testo di legge, che peraltro si manifesta inequivoco.
La stessa tende, in realtà, a trasformare uno strumento di protezione del cliente – quale si è visto essere quello in esame – in uno strumento di penalizzazione del medesimo: in via indebita facendo transitare la richiesta di documentazione del cliente dalla figura della libera facoltà a quella, decisamente diversa, del vincolo dell’onere.
D’altra parte, neppure è da ritenere che l’esercizio del potere in questione sia in qualche modo subordinato al rispetto di determinare formalità espressive o di date vesti documentali; né, tantomeno, che la formulazione della richiesta, quale atto di effettivo esercizio di tale facoltà, debba rimanere affare riservato delle parti del relativo contratto o, comunque, essere non conoscibile dal giudice o non transitabile per lo stesso. Ché simili eventualità si tradurrebbero, in ogni caso, in appesantimenti dell’esercizio del potere del cliente: appesantimenti e intralci non previsti dalla legge e frontalmente contrari, altresì, alla funzione propria dell’istituto.
Il tutto, in ogni caso, nell’immanente limite di utilità, per il caso di esercizio in via giudiziale della facoltà di cui all’art. 119, che la richiesta si mantenga entro i confini della fase istruttoria del processo cui accede.
6.- In conclusione, va respinto il primo motivo di ricorso; va invece accolto il secondo, con conseguente cassazione della sentenza resa dalla Corte di Appello di Bologna in data 29 maggio 2012, n. 1123, e con relativo rinvio sempre alla Corte di Appello di Bologna che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Nel decidere la controversia la Corte di Appello, così investita, si atterrà ai principi e indicazioni di cui in motivazione e, in particolare, al principio di diritto per cui “il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente tra gli stessi intervenuto può essere esercitato, ai sensi del comma 4 dell’art. 119 del vigente testo unico bancario, anche in corso di causa e a mezzo di qualunque modo si mostri idoneo allo scopo”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo motivo di ricorso e cassa la sentenza della Corte di Appello di Bologna del 29 maggio 2012, n. 1123, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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